Molti autori sono convinti che la vision sia strettamente imparentata con il sogno. Il sociologo Domenico de Masi, ad esempio, sostiene che il tratto essenziale dell’imprenditore non risieda nella propensione a innovare – come sostenuto da Schumpeter – bensì nella propensione a sognare: “L’imprenditore sogna avventure economiche, ma che travalicano l’economia: sogna uomini che felicemente producono, e mercati che decretano il successo dei loro prodotti; sogna benessere crescente per comunità operose. Non a caso, prendendo in prestito i termini dalle biografie dei santi, gli imprenditori amano parlare di mission e di vision.” Sempre secondo De Masi, l’impresa moderna è in crisi anche perché non è più capace di sognare ma si compiace “dei ritmi di lavoro stressanti fino allo spasimo, […] tesi all’eliminazione del concorrente. […] Un’impresa senz’anima e senza felicità”, in un mondo senza sogni. Effettivamente, uomini come Adriano Olivetti o Steve Jobs hanno parlato sovente della loro esperienza imprenditoriale come della realizzazione di un sogno condiviso dalla dirigenza, dai lavoratori e dai consumatori. Olivetti sosteneva che “spesso il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”. Steve Jobs, d’altra parte, è il prototipo del sognatore visionario di successo, che ha costruito la sua fortuna non solo e non tanto sull’innovazione tecnologica del prodotto quanto sulla capacità di rivoluzionare l’immaginario collettivo, proiettandolo costantemente in un futuro seducente dove il marchio Apple si candidava non solo a migliorare la vita quotidiana delle persone ma anche a renderla più creativa ed eccitante. Olivetti e Jobs, diversi fra loro per tanti aspetti, avevano però la stessa capacità messianica, la stessa carica visionaria e per questo sono stati tra i migliori interpreti della vision, che per essere efficace deve alludere all’eccezionale, allo straordinario, deve saper raccontare storie dalla struttura favolistica in cui tutti possano, anche se in piccola parte, riconoscersi e immaginarsi migliori. È questo il duro compito che la vision affida alla mission: rendere credibile nel presente - attraverso il lavoro, la programmazione, l’operatività, la presenza e l’affidabilità del marchio – un sogno apparentemente irraggiungibile.