MANAGEMENT & RUGBY, STRATEGIE VINCENTI!

“Management e rugby”  [leggi il primo capitolo] fa parte di un progetto più vasto, che mira ad affrontare lo sport – e in particolare il rugby, in virtù dei miei trascorsi sportivi – come strumento di costruzione valoriale della persona. In altri termini, ho cercato di mettere in evidenza i punti di contatto fra uno sport “nobile” come il rugby – fondato sulla lealtà, il rispetto e il gioco di squadra – e un’idea di azienda etica, che ritengo sempre più necessaria. Ho soprattutto cercato di dimostrare che la correttezza professionale – sorretta, ovviamente, dalle competenze - può divenire un valore aggiunto per l’azienda e che il business può essere il primo a giovarsene. D’altra parte, ho cercato di mettere in evidenza l’apporto che il rugby può offrire sul piano strategico. Il rugby, è bene ricordarlo, è un classico sport situazionale, che richiede ai giocatori di rispondere tempestivamente e in modo adeguato a ogni variazione dell'ambiente e che prevede situazioni open skill (con molte variabili e possibilità di scelta) e closed skill (senza possibilità di scelta, come nel caso della trasformazione o della punizione). Il tutto è complicato dal fatto che il rugby si gioca ad alta velocità ed è proprio la velocità di adattamento alle situazioni a fare la differenza. Flessibilità, duttilità, prontezza sono, pertanto, requisiti imprescindibili. In sostanza, occorre saper cogliere il “qui e ora” ma anche saper organizzare una successione di mosse per raggiungere l’obiettivo e penso che, in campo lavorativo, un professionista dovrebbe fare tesoro di quest’ultima considerazione poiché la complessità sistemica in cui si trova a operare esige da lui la capacità di cogliere “al volo” le trasformazioni dell’ambiente, di anticiparle mentalmente, in modo da governarle e trasformarle in opportunità.

Devo dire che fin qui il libro mi ha dato molte soddisfazioni: a parte l’insospettato riscontro di vendite, nelle tante presentazioni organizzate in giro per l’Italia  - l’ultima è stata quella presso la Feltrinelli di Roma - ho sempre riscontrato una partecipazione e un coinvolgimento attivo dei presenti, sfociato in dibattiti sempre vivi e interessanti e che in più di un’occasione si è tradotto in esplicite richieste di collaborazione (sono tanti i corsi di formazione che sto tenendo in giro per l’Italia e che spesso sono scaturiti proprio dal confronto con i lettori intervenuti alle presentazioni del libro). Tengo a ricordare che tutti i proventi di “Management e rugby” e dell’insieme delle iniziative correlate saranno totalmente devolute al progetto "Ragazzi difficili, prospettive vincenti", che promuovo in collaborazione con la Tarvisium Rugby, e che mira ad offrire un’opportunità di inclusione sociale e di riscatto a tutti quei ragazzi che, per le più varie vicissitudini, soffrono una condizione di emarginazione e di isolamento.

Ovviamente non mi “monto la testa”, sono consapevole che quello della scrittura è un percorso appena iniziato, che esigerà di essere strutturato e incardinato nel complesso delle mie attività professionali. Ma non posso nascondere che le soddisfazioni che mi procura sono tante e mi hanno spinto, di conseguenza, a mettermi subito al lavoro per il prossimo libro, nel quale cercherò di porre in risalto l’importanza che lo sport riveste per l’educazione dei più giovani. Penso che prendersi cura – nel senso più pieno del termine – dei bambini e dei ragazzi vada a tutto vantaggio anche di noi adulti perché i giovani sono il nostro futuro e noi abbiamo il dovere di formarli forti ed indipendenti. Ho cercato di affrontare questi stessi temi anche nell’ambito di un laboratorio che ho tenuto recentemente presso il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre: “L’etica nello sport. Prospettive per una scuola e una società inclusive”. È stata un’esperienza molto interessante, sotto vari profili. Da una parte mi sono reso conto che allo sport continua ad essere assegnata scarsa rilevanza non solo nella formazione dei bambini ma anche in quella dei futuri insegnanti, ai quali viene proposto, di fatto, come attività sussidiaria e routinaria. D’altra parte, ho avuto conferma che se si affronta lo sport dal punto di vista valoriale, l’impatto sull’interlocutore – in questo caso ragazze e future maestre – è potente perché sollecita in loro sia il lato emozionale che quello strategico, divenendo un potenziale strumento di intervento educativo nelle loro mani. Mi piacerebbe riportare nel libro anche le testimonianze di queste ragazze, le loro considerazioni e le loro aspettative.  

L’altro aspetto che affronterò nel prossimo libro è quello della costruzione dei futuri “campioni” sportivi. Chiarisco subito che non mi interessa, in sé, la figura massmediatica dell’atleta superstar, idolatrato dai stuoli di fans e assurto a modello di tanti giovani attratti dall’aurea del successo materiale che promana da questi “superman”, quanto piuttosto focalizzarmi sulle biografie personali di quegli atleti che hanno dimostrato di essere dei campioni non solo nel campo di gioco ma anche nella vita. Ho raccolto le testimonianze di molti di loro – tra i quali Jonah Lomu, Adriano Panatta, Yuri Chechi, Andrea Lucchetta, Alessandro Del Piero, Federica Brignone -, entrati nella storia della loro rispettive discipline attraverso la costanza, i sacrifici e la durezza degli allenamenti, capaci di rialzarsi dopo tremendi infortuni, e che oggicercano di essere una guida, un punto di riferimento per i giovani, verso i quali si sentono moralmente responsabili, quasi fossero perennemente “sotto osservazione”. Atleti, insomma, impegnati nel sociale (penso, ad esempio, a quelli che fanno da testimonial per iniziative importanti come “Un campione per amico”) e che contribuiscono con i loro comportamenti a date una prospettiva vincente alle generazioni di oggi, che si trovano ad affrontare una realtà tanto dura da spegnere, spesso, i loro sogni.

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